In cosa consiste il trapianto di cellule staminali?

Come si riconoscono le cellule staminali

Metodi di raccolta delle cellule staminali

Trapianto Autologo

Indicazioni al trapianto autologo

Preparazione del paziente

Reinfusione delle cellule staminali criopreservate

Decorso post trapianto autologo

Trapianto allogenico

Indicazioni al trapianto allogenico

Ricerca di un donatore

Preparazione del paziente

Decorso post trapianto allogenico

Complicanze

 In cosa consiste il trapianto di cellule staminali emopoietiche?

  

Le cellule staminali sono cellule primitive non specializzate dotate della capacità di trasformarsi in diversi altri tipi di cellule del corpo attraverso un processo denominato differenziamento cellulare (Vikipedia). 

   

 

Caratteristica delle cellule staminali è che quamdo si dividono, una parte rimane immatura è mantiene invariato il pool staminale, mentre l'altra si differenzia nel midollo nelle varie cellule che compongono il sangue. 

Il MIDOLLO OSSEO, contenuto nelle ossa piatte come quelle del bacino è un tessuto in cui le cellule staminali producono le cellule che compongono il sangue (globuli bianchi, globuli rossi, piastrine). Le cellule staminali, hanno anche la capacità di automantenersi, cioè ad ogni divisione cellulare (la duplicazione di una cellula madre in due cellule figlie), mentre una cellula inizia il processo di maturazione, una cellula resta a mantenere il pool delle cellule di riserva. Il numero di tali cellule rimane costante durante tutta la vita e, dato il loro numero, l'organismo può far fronte ad una sottrazione di cellule staminali, come avviene ad esempio per una donazione, senza alcun danno o compromissione.

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Come si riconoscono le cellule staminali?

Le cellule staminali possono essere riconosciute e quantificate per la presenza sulla superficie di un antigene, chiamato CD34, che, mediante tecniche di fluorescenza, puo’ essere rilevato da un’apparecchiatura di laboratorio. Da un campione di sangue midollare o sangue periferico e’ possibile valutare il numero di cellule staminali presenti in quel momento, per cui, nel caso di sangue periferico, e’ possibile stabilire il giorno in cui e’ presente il massimo numero di cellule CD34 e quindi il giorno in cui deve essere effettuata la staminoaferesi.

Metodi di raccolta di cellule staminali

 

Prelievo di cellule Staminali Midollari

La quantità prelevata è una piccola parte del midollo complessivamente posseduto da un individuo, per cui non vi sono pericoli in questo senso. Inoltre la perdita viene rapidamente ripristinata. Prima del prelievo il donatore esegue in media due predepositi di sangue, che gli verranno trasfusi durante e dopo il prelievo di midollo.

Non può essere donatore chi soffre di malattie o ha una gravidanza in corso.

La procedura  richiede un'ora e mezza ed è necessario un ricovero che solitamente dura dal pomeriggio precedente al mattino successivo al prelievo.

Durante la procedura il donatore sottoposto ad anestesia generale o locoregionale, non avverte alcun dolore. Dopo la cessazione dell'anestesia si risveglia un dolore in sede di aspirazione che viene controllato nelle prime ore con analgesici. Il giorno seguente e per una decina di giorni il donatore avvertirà un dolore nella sede che tuttavia è sopportabile anche senza analgesici e permane per 8-10 giorni.

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Prelievo di cellule staminali periferiche

Un'alternativa all'espianto di midollo è la raccolta delle cellule staminali dal sangue periferico. Tale metodica è utilizzata per la maggior parte dei pazienti che devono essere sottoposto a trapianto autologo e per molti  donatori di cellule staminali allogeniche.

Il donatore viene trattato per 4-6 giorni con una sostanza chiamata fattore di crescita o G-CSF, mediante un’iniezione sottocutanea giornaliera od ogni 12 ore, che stimola il midollo osseo a produrre e ad immettere nel sangue periferico una ingente quantità di cellule progenitrici.

A partire dal 4°- 5° giorno, previo esame emocromocitometrico e conteggio delle cellule staminali, il donatore viene sottoposto a una procedura di staminoaferesi ogni giorno per 1-2 giorni. Si tratta di una seduta, che avviene presso il Centro Trasfusionale, in cui il donatore viene collegato mediante aghi introdotti nelle vene delle due braccia ad una apparecchiatura che preleva il sangue da un lato, lo processa separando le cellule staminali e lo reinfonde nell'altro braccio. La procedura è indolore e normalmente il maggior disturbo è legato alla durata, che è di circa tre ore. Può accadere che durante la seduta, a causa della diminuzione del calcio nel sangue si manifestino tremori e crampi muscolari, correggibili con la somministrazione di calcio.   

La somministrazione del fattore di crescita provoca quasi sempre un indolenzimento osseo, particolarmente a livello lombo-sacrale e talvolta febbricola, cefalea ed aumento di peso.

Tutti questi fenomeni, controllabili con l'assunzione di paracetamolo (Tachipirina) e raramente con antinfiammatori più energici, sono reversibili alla sospensione del farmaco ed i valori ematologici tornano alla norma nel giro di qualche settimana.

I disagi elencati vanno confrontati con i postumi di un prelievo di midollo in sala operatoria con anestesia generale e, probabilmente sono a conti fatti sovrapponibili.

Con le cellule derivanti dal sangue periferico il ricevente avrà un decorso post-trapianto più breve, con meno complicazioni infettive e minor fabbisogno trasfusionale, perché il periodo di aplasia, ovvero di mancanza di globuli bianchi e di piastrine, sarà più breve grazie al più rapido proliferare delle cellule del sangue periferico rispetto a quelle midollari.

D'altro canto uno studio europeo a cui ha partecipato anche il nostro centro ha rilevato che, se da un lato non vi sono significative differenze in termini di malattia trapianto verso l'ospite acuta (GvHD acuta), l’uso delle cellule staminali periferiche produce in una maggior percentuale di pazienti la malattia trapianto verso l’ospite cronica (GvHD cronica).

Questa piccola differenza può indirizzare verso il trapianto con cellule periferiche pazienti con malattia non in perfetta remissione, o meno immunosensibile, mentre il trapianto con cellule midollari è riservato a pazienti con maggior rischio di GvHD.

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Trapianto  Autologo

 Vi sono due tipi diversi di trapianto di cellule staminali. Il primo, chiamato autotrapianto, consiste nel raccogliere le cellule staminali dal paziente stesso e di restituirle dopo averlo sottoposto ad un ciclo di chemioterapia.

Poiché esiste una correlazione tra dose ed effetto dei farmaci utilizzati nella terapia delle malattie tumorali, specialmente in quelle ematologiche, l’autotrapianto permette di somministrare al paziente dosaggi di sostanze terapeutiche molto efficaci sul tumore che, tuttavia, senza l’aggiunta delle cellule staminali, provocherebbero una tossicità a livello midollare troppo alta. Le cellule staminali, che dopo la raccolta vengono conservate in azoto liquido e quindi non sono sottoposte alla chemioterapia, consentono di sopportare queste elevate dosi di farmaci.

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Indicazioni al trapianto autologo

Il trapianto autologo viene utilizzato per la terapia di quelle malattie che si giovano di un aumento del dosaggio della chemioterapia per riuscire a distruggere le cellule tumorali residue. La situazione ottimale è quella in cui il midollo sia indenne dalla contaminazione delle cellule tumorali. Ciò è possibile in molte malattie tumorali che non sono diffuse anche al midollo oppure quando la terapia di induzione ha eliminato la presenza delle cellule tumorali nel midollo.

Le malattie che si giovano del trapianto autologo sono:

·         i Linfomi non Hodgkin in cui questa procedura è indicata a volte nella terapia  iniziale e molto spesso nel trattamento delle recidive.

·         la Malattia di Hodgkin in cui l'autotrapianto viene utilizzato nellaterapia della recidiva.

·         il Mieloma Multiplo che spesso prevede 1 o 2 procedure di autotrapianto come terapia iniziale della malattia.

·         le Leucemie Acute, quando non sia possibile avviare il paziente al trapianto allogenico; essendo la Leucemia una malattia che tipicamente colpisce le cellule midollari, la condizione per poter fare il trapianto autologo, è il raggiungimento della Remissione Completa.

·         esistono poi alcune malattie non tumorali, come la Sclerosi Multipla o alcuneCollagenopatie,  in cui il trapianto autologo  può dare buoni risultati, am tali pazienti devono venire trattati secondo protocolli sperimentali in quanto l'efficacia del trapianto non è al momento consolidato. 

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Preparazione del paziente

 Il paziente, per poter raccogliere le cellule staminali deve riuscire a diminuire il più possibile la contaminazione delle cellule staminali da parte delle cellule tumporali. A tale scopo prima della raccolta il paziente viene sottopèosto ad uno o più cicli di chemioterapia che hanno lo scopo di eliminare il maggior numero di cellule tumorali possibile. Dopo l'ultima chemioterapia il paziente viene stimolato col fattore di crescita per riuscire a raccogliere le cellule staminali.

Le cellule raccolte con la Staminoaferesi, vengono criopreservate, cioè congelate a temperature molto basse e conservate in appositi contenitori di azoto liquido a - 196°C.

Il paziente prima dell'autotrapianto viene sottoposto ad un ulteriore ciclo di chemiterapia a dosi tali da richiedere una successiva infusione di cellule staminali. Al termine del ciclo di condizionamento, le cellule criopreservate, vengono velocemente riportate a temperatura ambiente e reinfuse.

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Reinfusione delle cellule staminali criopreservate.

Dopo avere atteso almeno un giorno dalla fine del condizionamento per permettere all'organismo di eliminare i farmaci citotossici, al paziente vengono reinfuse le cellule criopreservate. Lo scongelamento delle cellule viene eseguito rapidamente ed immediatamente le cellule vengono infuse. 

All'inizio della reinfusione il paziente sente un odore agliaceo sgradevole che successivamente si attutisce fino a scomparire. Tale odore è legato al Dimetisulfossido che deve essere utilizzato per proteggere le cellule staminali dal congelamento, che altrimenti le ucciderebbe. Tale odore nelle ore successive viene sentito dalle persone che si avvicinano al paziente in quanto tale sostanza viene eliminata attraverso la respirazione.

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Decorso post trapianto autologo

Il periodo di aplasia dopo la reinfusione delle cellule staminali dura in genere 12-14 giorni ed è abbreviato dalla somministrazione del fattore di crescita G-CSF che è lo stesso utilzzato per la mobilizzazione.

Durante il periodo di aplasia, il paziente può avere febbre e nausea come dopo qualsiasi ciclo di chemioterapia. In qualche caso si possono avere infezioni che verranno curate con l'infusione di antibiotici.

Il trapianto autologo diminuisce, ma non elimina la possibilità di una recidiva della malattia.

La procedura non è del tutto scevra di rischi per il paziente,  in quanto le possibilità di tossicità mortale dopo trapianto autologo è intorno al 5%.

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Trapianto Allogenico

L’allotrapianto invece consiste nel prelevare le cellule staminali ad un donatore sano, compatibile con il ricevente, e di reinfonderle nel paziente dopo la terapia. In tal modo oltre alla possibilità di aumentare le dosi della chemioterapia stessa si sfrutta la possibilità che le cellule del donatore, trovandosi a contatto con le cellule malate residue, le distruggano considerandole come estranee. Tale evento viene definito reazione delle cellule trapiantate verso il tumore (graft vs tumor e nel caso di leucemia graft vs leukemia = GvL)

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Indicazioni al trapianto Allogenico

Esistono molte situazioni in cui la sostituzione del midollo mediante trapianto può giovare alla cura della malattia.

Quando si sviluppa una malattia tumorale primitiva del midollo osseo, ovvero una LEUCEMIA o una MIELODISPLASIA , viene inibita la normale produzione di cellule del sangue a favore del tipo di cellula midollare colpita, che invade il midollo.

Vi sono forme di leucemia acute e croniche che producono conseguenze simili sulla salute: si può andare incontro ad anemia (per la mancata produzione di globuli rossi), ad infezioni (per la diminuzione delle difese dovuta alla mancanza di globuli bianchi normalmente funzionanti) e ad emorragie (in seguito alla mancanza di piastrine).

Il trattamento delle leucemie consiste inizialmente in chemioterapia, attuata al momento della diagnosi e, dopo il raggiungimento della remissione della malattia (scomparsa delle cellule malate dal sangue e dal midollo), nel trapianto di midollo (autologo od allogenico a seconda dei casi).

Quando la patologia midollare consiste nella diminuzione delle cellule che danno origine a globuli rossi, bianchi e piastrine si parla di APLASIA MIDOLLARE, le cui manifestazioni sono analoghe a quelle descritte per le leucemie (anemia, infezioni, emorragie).

Il trattamento di questa malattia si avvale di immunosoppressori come la globulina antilinfocitaria, la ciclosporina ed il cortisone. Nei pazienti giovani ed in coloro che non hanno risposto alla terapia iniziale, la scelta terapeutica è il trapianto di midollo.

Quando le cellule che vengono colpite dalla trasformazione tumorale sono i linfociti, che risiedono oltre che nel midollo, nella milza e nei linfonodi, si verifica la comparsa di un LINFOMA. Oggi i linfomi vengono distinti in due grandi categorie, linfoma di Hodgkin e linfoma non Hodgkin.

Sono normalmente trattabili con la sola chemioterapia.

Alcune forme, più aggressive o resistenti, hanno mostrato risposte  importanti con il trapianto autologo, mentre in casi selezionati vi è l'indicazione al trapianto allogenico.

Tra le malattie che hanno dimostrato di giovarsi di un approccio trapiantologico vi è il MIELOMA MULTIPLO, che origina dalla trasformazione neoplastica delle plasmacellule che sono cellule linfoidi deputate alla produzione di anticorpi.

Vi sono altre malattie ematologiche che possono trarre vantaggio dalla terapia trapiantologica, alcuni deficit immunologici congeniti e la TALASSEMIA MAIOR o Morbo di COOLEY).

Recentemente si è constatato che anche alcuni tumori solidi sembrano immunosensibili, cioè possono essere controllati da sostanze prodotte dai linfociti, per cui si è allargata anche ad alcuni tipi di tumore, come quello renale, l’indicazione al trapianto, anche se questo tipo di terapia è al momento da considerarsi sperimentale.

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Ricerca di un donatore

Per poter eseguire il trapianto allogenico è necessario disporre di un donatore compatibile.

Ciascuno di noi possiede un patrimonio di geni, ereditati dai genitori, che, come le impronte digitali, ci caratterizza in maniera univoca. Alcuni di questi controllano l'espressione di strutture (antigeni) presenti sulla superficie di tutte le cellule del nostro corpo. Grazie a tali antigeni, caratteristici di un singolo individuo, il sistema immunitario riconosce le proprie cellule normali e reagisce contro quelle estranee o addirittura contro le proprie, se modificate. Nell'uomo il gruppo di geni che controlla il "riconoscimento" dei tessuti dell' organismo è definito Sistema HLA (Human Leucocyte Antigen). Tali caratteristiche genetiche si possono determinare sia direttamente, esaminando il DNA con tecniche di biologia molecolare, sia indirettamente indagando, con tecniche sierologiche, i loro prodotti antigenici. Questi test (genericamente chiamati tipizzazione tessutale o tipizzazione HLA) assieme ad altri detti "funzionali" si utilizzano, in caso di trapianto, per stabilire la compatibilità tra donatore e ricevente. Solo tra fratelli esiste una buona probabilità (25%) di ritrovare gli stessi determinanti HLA, mentre tra individui non apparentati ciò è difficilissimo.

 

 Per accertarlo è sufficiente che paziente e potenziali donatori si sottopongano ad alcuni prelievi di sangue venoso.

Se il paziente ha un gemello identico(omozigote), il trapianto è simile ad un trapianto autologo per cui non è necessaria immunosoppressione. In questo caso si definirà la procedura come trapianto singenico

Altra situazione è quella che si determina quando il paziente ha un fratello o sorella identico per il sistema HLA. in tale caso sarà avviato al trapianto allogenico da famigliare.

Se si è figli unici o se fratelli e sorelle sono risultati non compatibili, è possibile in determinate circostanze cercare un donatore al di fuori della famiglia.

Esiste in Italia, centralizzato a Genova, un Registro dei donatori volontari (IBMDR), collegato con quelli di molti paesi europei ed extraeuropei. I Registri Internazionali raccolgono notizie e dati genetici di possibili doanatori volontari e d unità di sangue cordonale donate alla nascita e conservate in azoto liquido. Se tra i gli iscritti ve ne sono di compatibili con il paziente si sceglierà il più idoneo per eseguire il trapianto. Naturalmente questa ricerca richiede tempo e non sempre è coronata da successo. Più breve è la ricerca di unità di sangue cordonale in quanto le unità bancate sono già tipizzate approfonditamente.

Il livello di compatibilità ottimale per un donatore non consanguineo è di 6/6 antigeni di istocompatibilità uguali, ma è possibile eseguire trapianti anche con un livello di compatibilità minore di 5/6. Per quanto riguarda le unità cordonali il livello di compatibilità può essere minore (4/6) data la minore reattività delle cellule del cordone nel produrre una reazione trapianto verso l'ospite (GvHD Graft versus host disease). Tale trapianto verrà definito trapianto allogenico da donatore volontario o da sangue cordonale ( MUD Matched Unrelated Donor)

Nel caso non si trovi un possibile donatore volontario o un'unità cordonale compatibile, oppure se la situazione del paziente non permette un'attesa lunga, è ancora possibile utilizzare i famigliari del paziente anche se compatibile soltanto per la metà dei geni. In questo caso si definirà questo trapianto aploidentico.

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Preparazione del paziente

Il trapianto ha come scopo la guarigione di un numero elevato di pazienti, anche se non è possibile avere una sicurezza assoluta. A differenza dei trapianti di altri organi, in cui la terapia immunosoppressiva deve essere continuata per tutta la vita, dopo la sostituzione del midollo osseo, nell'arco di qualche mese è normalmente possibile sospendere ogni terapia.

Il limite di età per questa procedura è genericamente ad oggi di 70 anni per il trapianto autologo e di 65 per quello allogenico da donatore familiare. Essendo importanti le condizioni generali più dell’ età anagrafica ogni caso viene valutato obiettivamente prima della nostra proposta.  

Per permettere l’attecchimento delle cellule staminali e per distruggere la malattia minima residua nell' organismo del paziente la prima fase, della durata di circa una settimana, prevede l'uso di farmaci citostatici ( i più utilizzati sono la ciclofosfamide, il busulfano, il melphalan ed il tiotepa) e di radiazioni a tutto il corpo (con parziale schermatura dei polmoni). Questa fase, che varia in base alla malattia, viene chiamata condizionamento.

L'intensità del condizionamento è diminuita nel corso degli ultimi anni.

Mentre i primi trapianti si basavano su un condizionamento (cosiddetto mieloablativo) che aveva come scopo quello di distruggere le cellule midollari ed  il sistema immunologico del ricevente e nel contempo distruggere le cellule maligne residue, nel corso degli anni l'intensità di tale terapia è stata modulata per mantenere l'efficacia sulla malattia diminuendo la tossicià. 

Negli anni più recenti è stata sviluppata una tecnica che per ottenere l'attecchimento delle cellule staminali del donatore si basa su un trattamento che deprime maggiormente le difese immunitaire del paziente pittosto che distruggere le cellule del midollo del ricevente.

 

In tal modo l'eliminazione delle cellule del ricevente avviene gradualmente come pure la distruzione delle cellule maligne. In un secondo tempo le cellule del donatore a volte adiuvate dall'infusione successiva al trapianto di linfociti del donatore stesso, riescono a sostituirsi completamente alle cellule del paziente ed a distruggere le cellule maligne residue, Quest'ultima fase si chiama reazione del trapianto verso il tumore(Graft Versus Tumor o GVT)

 Questa tecnica viene chiamata allotrapianto con condizionamento non mieloablativo, allotrapianto con condizionamento ridotto o mini-allotrapianto, mentre sono stati introdotti anche condizionamenti con intensità di dosi intermedie che vengono chiamate Condizionamenti a ridotta intensità (RIC)

La messa a punto di queste procedure ha consentito di espandere le indicazioni a pazienti di età più avanzata o con patologie d'organo tali da sconsigliare un trapianto tradizionale.

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Decorso post trapianto allogenico

Quando arriva il momento del trapianto (giorno 0), al termine del condizionamento, si procede all'infusione delle cellule del donatore. La via di somministrazione è quella venosa, la quantità si aggira intorno al litro e mezzo e di solito si trasfonde in 8 -10 ore, senza alcun disagio per il ricevente. Nel caso di infusione di cellule staminali congelate il volume è molto inferiore.

A partire normalmente dal giorno precedente l'infusione (-1), ma spesso anche dall’inizio del condizionamento, viene iniziata la somministrazione endovenosa in infusione continua di ciclosporina-A (Sandimmun). Si tratta di un farmaco immunosoppressore che previene o riduce la reazione tra cellule del donatore e organismo del ricevente. In seguito verrà somministrata per bocca due volte al giorno e per una durata dipendente dalle condizioni cliniche.

Durante e nei primi giorni dopo il condizionamento il paziente ha alcuni disturbi che consistono in nausea, perdita dell'appetito e malessere generale, talvolta anche vomito e diarrea. Dopo circa una settimana potrà subentrare dolore alla bocca ed alla gola, legato alla mucosite causata dalla radio-chemioterapia. Questo renderà difficile l'alimentazione e la stessa deglutizione della saliva, resa più scarsa e vischiosa dalla radioterapia. Il dolore, se presente, sarà attenuato con l'uso di antidolorifici, se necessario in infusione continua. L'alimentazione e l'idratazione in questa fase, che dura 5 - 10 giorni, saranno prevalentemente per via venosa.

Nello stesso periodo della mucosite si può manifestare anche febbre, che di solito regredisce dopo qualche giorno di terapia antibiotica.

La fase di ricovero iniziale è di circa 30-40 giorni (meno per i mini-trapianti), a cui seguono controlli frequenti in Day Hospital per due-tre mesi.

In seguito i controlli ambulatoriali potranno diradarsi, da una volta al mese fino ad una visita ogni due-tre mesi.

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Complicanze

La fase di attecchimento (risalita dei parametri ematologici a valori normali) avviene normalmente entro 30 giorni per i globuli bianchi, entro 60 per le piastrine ed entro 90 per i globuli rossi. Se le cellule trapiantate non attecchiscono si parla di rigetto. Tra fratelli HLA identici è raro (2% nelle leucemie e 5% nelle aplasie).

E' più frequente invece il fenomeno opposto, detto malattia del trapianto contro l'ospite o GvHD (graft versus host disease).

Si manifesta in più della metà dei pazienti ed è provocata dal midollo trapiantato, che riconosce una certa diversità nel ricevente. Le sue manifestazioni più tipiche sono a carico della cute (arrossamento, prurito o bruciore), dell'intestino (diarrea) e del fegato (alterazioni di varia entità della sua funzionalità). Tra le cellule attecchite nel nuovo organismo vi sono i linfociti, che regolano le reazioni immunitarie e si comportano un po' come conquistatori, inducendo da un lato reazioni dannose nell'ospite, ma contemporaneamente facendo guerra alle eventuali cellule della malattia sopravvissute al condizionamento che potrebbero, se non contrastate, causare in seguito una ricaduta.

E' necessario tenere a bada gli effetti dannosi della GvHD senza contemporaneamente perderne i benefici, dosando opportunamente la ciclosporina ed utilizzando, se necessario, il cortisone.

Mentre la malattia trapianto verso l’ospite acuta si manifesta generalmente nei primi 100 giorni dal trapianto, dopo tale periodo la GvHD acuta può trasformarsi in malattia trapianto contro l’ospite cronica (che può anche insorgere de novo) che si manifesta con  uno o più dei disturbi seguenti: cute iperpigmentata, lenta crescita dei capelli, secchezza delle mucose, rigidità delle articolazioni, alterazioni del gusto, perdita dell’appetito, talvolta congiuntivite.

In rari casi possono comparire anche disturbi della vista dovuti a cataratta post-radiazioni. 

Rispetto al trapianto autologo il trapianto allogenico ha un rischio più elevato in quanto, pur con il miglioramento della terapia di supporto le percentuali di mortalità da trapianto sono intorno al 15-20%.

E’ molto importante che il paziente sia a conoscenza del fatto che la radioterapia e spesso anche i farmaci citostatici alle alte dosi impiegate, provocano quasi certamente la sterilità. Per questa ragione i pazienti di sesso maschile possono richiedere, se le condizioni lo consentono, di depositare le proprie cellule seminali presso apposite strutture. Esistono anche per le pazienti di sesso femminile metodi di congelamento degli ovociti, dopo opportune terapie ormonali, ma in questo caso è necessario che il trapianto non sia, come normalmente è, imminente.

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